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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-03-31 ad oggi 2010-03-31

MILANO - Nel centrosinistra è ancora tempo di analisi. Democratici, ma non solo, sono chiamati a fare i conti con il risultato elettorale, ivi compresa la sconfitta di Emma Bonino nel Lazio. Il dibattito è aperto ma Bersani non ha intenzione di farsi mettere alla gogna per il risultato delle regionali, che continua a considerare tutt'altro che un disastro. E ad alimentare le polemiche ci sono da una parte una lettera al segretario Pier Luigi Bersani di 49 senatori del Pd e dall'altra le parole della stessa candidata radicale.

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Dalessandro Giacomo

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2010-03-31

31 Marzo 2010

IL VOTO

Pd: Bersani sotto accusa,

ma per ora si salva

Nessuno chiede la testa del segretario. Il congresso si è chiuso da pochi mesi e "non può essere che a ogni elezione si cambia". Ma tira una brutta aria nel Pd. Non è la resa dei conti già vista ai tempi di Walter Veltroni. Non è il redde rationem dell’era Franceschini. Però i predecessori di Pierluigi Bersani arrivano al coordinamento convocato per fare il punto del voto con un quadro chiaro della situazione. Area democratica, ovvero la corrente di opposizione interna che fa capo ai primi due leader piddì, ha già messo sul tavolo l’analisi del risultato, con un esito ben diverso da quello mostrato da Bersani in conferenza stampa.

Nessuna ripresa. Niente ottimismo. Piuttosto una certezza che spaventa i veltroniani, come anche gli ex popolari, i prodiani e una buona fetta del partito che fa capo alla segreteria: la Lega sta erodendo consensi anche al centrosinistra. Il Carroccio di Bossi è il vero interlocutore di quel tessuto sociale, un tempo bacino di voto della sinistra. Le stesse regioni rosse perdono consensi, e dove non sono Di Pietro o Grillo ad accaparrarseli, ecco che arrivano i "lumbard".

Come si può parlare, dunque, di una inversione di tendenza? Franceschini non ci sta e di prima mattina raccoglie le proteste dei suoi, basiti dalle dichiarazioni uscite dal vertice nella serata di lunedì. Gli ex ppi si aggirano per i Palazzi con l’amara certezza di aver perso le elezioni. C’è un "disagio generale", confermano i mariniani. Il "risultato è problematico". Perché se si analizza l’astensione, la vittoria di Di Pietro, la comparsa di Grillo, il ruolo dell’Udc e il "monolite solitario" Nichi Vendola (come lo definisce il veltroniano Giorgio Tonini), ebbene, non si capisce dove sia il bandolo della matassa. Quello che manca è una strategia. "Cosa pensa di essere il Pd non lo si sa ancora", insiste Tonini.

Ma questo è il pensiero diffuso. "La principale condizione per riprendere il cammino è riconoscere questa grande vittoria di Berlusconi e della destra – spiega anche Arturo Parisi – . La seconda è ammettere che il gioco di rimessa non paga". Ecco, è proprio qui il punto: il Pd che fa capo alle due mozioni anti-Bersani si chiede a quale gioco si voglia giocare. "Sarebbe un errore non fare autocritica – concorda Ignazio Marino –. Nel Pd hanno prevalso le alchimie strategiche del gruppo dirigente, che opera senza ascoltare il Paese". Il fatto però è che il Paese lo ascolta la Lega. E sottovalutarla, accusa il prodiano Giorgio Merlo, è un grave errore: "Non si può dare un’immagine caricaturale e grottesca" di Bossi e dei suoi.

Insomma, l’analisi è complessa e la via d’uscita non è semplice. Resta la convinzione degli ex popolari che si dia "troppo spazio alla piazza, che però premia Di Pietro e non noi". L’alleanza con l’Italia dei valori non paga, ma neanche "lo schema dalemiano" che stava per far perdere anche la Puglia", accusa Area democratica. Perché l’Udc è "un piccolo partito" che non sposta l’ago della bilancia, secondo i veltroniani. E la strategia delle alleanze non è servita a nulla. Meglio andare da soli, secondo la vecchia strategia bipolare di Veltroni, tornano a dire i colonnelli del primo segretario piddì.

"Non è il risultato che speravamo. Credo che si debba ripartire da qui", dopo "un’analisi onesta e rigorosa", sintetizza allora la vicepresidente Marina Sereni. Bersani ascolta, in parte condivide. Ma va avanti.

Roberta D’Angelo

 

 

 

 

30 Marzo 2010

Vincitori e sconfitti

I verdetti del voto dello scontento

Alla fine sono state le elezioni dello scontento. E a vincere, persino in modo rocambolesco, sono stati quelli che agli scontenti han saputo dare le risposte più convincenti. Vince la Lega di Umberto Bossi (e Cota e Zaia...) che intercetta come mai prima il "vento del nord" grazie anche a toni meno veementi e più rassicuranti, all’archiviazione degli slogan sferraglianti e a una calibrata selezione delle idee-forza (e, adesso, dopo il gran bottino, li aspettiamo alla prova).

Vince Silvio Berlusconi anche se il suo Pdl flette visibilmente: dopo una campagna con accenti da grande oppositore (nei confronti di "toghe" e "sinistre"), il premier arriva a controllare attraverso una maggioranza politicamente chiara eppure a geografia variabile (con la Lega al Nord, con l’Udc in cruciali aree del centrosud) ben 11 regioni su 20 (nel 2000, massimo storico precedente, era arrivato a 9). Vince Nichi Vendola capace nella "sua" Puglia di imporsi al Pd squassato da irresolutezze politiche e dalla "questione morale" pugliese e meridionale (i risultati in Campania e Calabria sono eloquenti) e di far pagare a Pdl e Udc il prezzo di divisioni (non solo) locali.

E vince, soprattutto, Renata Polverini nel Lazio dei troppi pasticci: vince con merito, sul filo di lana, grazie a un via via più incisivo passo "valoriale" che l’ha sostenuta contro ogni speranza "politica" nell’incredibile corsa a ostacoli (o, meglio, a sgambetti) che si è ritrovata a disputare con la radicale ipersponsorizzata Emma Bonino.

Sì, sono state le elezioni dello scontento. Lo si sentiva nell’aria di quest’Italia che non esce dalla crisi, lo si intuiva dall’andamento della più urtante delle campagne elettorali, lo si coglieva dalle perplessità maturate nel mondo cattolico impegnato di fronte alle spiazzanti proposte politico-programmatiche maturate soprattutto in Lazio e Piemonte (guarda caso teatro delle sconfitte chiave del Pd "radicalizzato"), lo si è visto nel responso delle urne. E nel verdetto secco dell’affluenza: quel meno 7,9% che non scolpisce solo il dato di un’astensione con l’esclamativo (ben oltre il terzo dell’elettorato), ma che disegna un lancinante punto di domanda nei confronti di una classe politica che deve dimostrarsi, nel suo complesso, a prova di corruzione, degna delle attese vere della gente e capace, una buona volta, di uscire dalla retorica della contrapposizione pregiudiziale e piazzaiola.

A giudicare da certi toni di vincitori e vinti sarà dura. Anche perché, come al solito, tutti s’industriano a dissimulare le sconfitte. Ma i verdetti sono chiari.

Il centrosinistra si lecca le ferite, sebbene riunisca quasi ovunque attorno al Pd di Pierluigi Bersani anche le sigle dell’"altra sinistra" e sebbene conquisti in questa tornata più amministrazioni del centrodestra (7, ma ne aveva 11). Il saldo totale è pesantemente negativo: nel 2008 l’ex area unionista controllava 15 Regioni su 20, in due anni ne ha dovuto cedere 7. E c’è dell’altro: il progetto di sperimentare un’alleanza strutturale con il terzo polo centrista non è decollato e per di più, a causa della scelta di esaltare il rapporto con i radicali del duo Pannella-Bonino, si sono prodotti dolorosi strappi interni. L’Idv di Tonino Di Pietro tiene invece le sue posizioni anche nella prova amministrativa, e non è un risultato da poco, visto che ha subìto la concorrenza sul terreno del j’accuse antipolitico delle "Cinque stelle" di Beppe Grillo.

Anche l’Udc di Pier Ferdinando Casini mantiene la sua forza, ma incamera un risultato in chiaroscuro. Può dire di aver pesato in positivo in cinque casi (3 con il centrodestra; 2 con il centrosinistra) e di essere stata comunque determinante in Puglia. Ma è clamorosa la batosta piemontese, dove si era inopinatamente allineata alla governatrice Bresso dopo esserne stata fiera oppositrice per incompatibilità valoriale. E qui e in Liguria il dato è secco: a fianco del Pd, l’Udc vale meno del 4%.

Sì, per tutti – vincitori e sconfitti – c’è molto da riflettere. Da cambiare. E da fare.

Marco Tarquinio

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-03-31

l'iniziativa all'indomani del voto. Tra i firmatari anche ignazio marino

Pd, Bonino: "Bersani leale, altri no"

E 49 senatori scrivono al segretario

Il segretario: "Il vero lavoro comincia ora. Incontriamoci subito per trovare la giusta strada da percorrere"

l'iniziativa all'indomani del voto. Tra i firmatari anche ignazio marino

Pd, Bonino: "Bersani leale, altri no"

E 49 senatori scrivono al segretario

Il segretario: "Il vero lavoro comincia ora. Incontriamoci subito per trovare la giusta strada da percorrere"

MILANO - Nel centrosinistra è ancora tempo di analisi. Democratici, ma non solo, sono chiamati a fare i conti con il risultato elettorale, ivi compresa la sconfitta di Emma Bonino nel Lazio. Il dibattito è aperto ma Bersani non ha intenzione di farsi mettere alla gogna per il risultato delle regionali, che continua a considerare tutt'altro che un disastro. E ad alimentare le polemiche ci sono da una parte una lettera al segretario Pier Luigi Bersani di 49 senatori del Pd e dall'altra le parole della stessa candidata radicale. La Bonino ha infatti usato parole di gratitudine nei confronti del numero uno dei democratici, approfittandone però per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. "L’impegno di Bersani è stato deciso, determinato e generoso, altri non hanno fatto così, credo di aver fatto una campagna elettorale intensa e rigorosa, a corollario ci saranno le rese dei conti interne agli altri partiti, ma per me sono solo un corollario" ha detto la Bonino nel corso di una conferenza stampa nella sede del Partito radicale. "Il fatto che alcuni settori del Pd non fossero entusiasti della mia candidatura - ha ricordata la Bonino - non è una novità, non lo hanno nascosto e di conseguenza non si saranno neanche entusiasticamente adoperati". Ma la radicale ha voluto però precisare che "con il comitato elettorale del Pd" si è lavorato bene " scoprendo anche la militanza dei compagni democratici". Quindi, Bonino ha smentito di aver polemizzato con il Pd per il mancato appoggio nella campagna: "Non ho mai detto che mi hanno lasciata sola, confermo però che il 3 gennaio quando mi sono candidata loro non avevano nessuno" ed è stato solo dopo alcuni giorni che Nicola Zingaretti ha chiesto al partito di rompere gli indugi in mancanza di un nome del partito che avesse rilevanza nazionale".

LETTERA AL LEADER - Bonino a parte, Bersani è chiamato a misurarsi, come si diceva, anche con una parte del partito, che lo invita ora a "cambiare passo", a "muoversi subito". È questo infatti l'appello al segretario dei democratici contenuto in una lettera inviatagli da 49 dei suoi senatori. Il Partito democratico si trova di fronte ad un momento della vita dell'Italia "rispetto al quale s'impongono, da parte di tutti noi - si legge nella missiva -, una maggiore generosità nell'impegno, una più partecipata attività politica ed una nuova consapevolezza riguardo l'effettiva portata dell'emergenza democratica in cui viviamo" sottolineano i 49 senatori democratici appartenenti alle diverse aree del partito, all'indomani del voto regionale e in evidente disaccordo rispetto all'analisi del voto fatta da Bersani. "Il lavoro ordinario non basta più. I ritmi ortodossi sono troppo lenti. Le liturgie della casa - incalzano gli autori della lettera - sono stantie. I cartellini da timbrare sono sempre più falsati. L'imborghesimento ci tenta in continuazione ed arriva persino a coinvolgerci in scellerate trasversalità ammantate di riformismo.I nostri valori fondanti rischiano di vacillare sotto i colpi della sfiducia e di un neo relativismo che intossica le nostre coscienze per condurci verso la più colpevole accidia". Nella missiva, promossa da Gian Piero Scanu e firmata da altri 48 senatori, fra i quali c'è anche Ignazio Marino, sfidante di Bersani per la segreteria, viene chiesto al numero uno del Pd un incontro immediato "per riflettere insieme. Per trovare, dopo una leale discussione, la giusta strada da percorrere per servire degnamente il nostro Paese".

BERSANI RISPONDE - "Aspettiamo con fiducia - è la conclusione perentoria della lettera a Bersani - una tua puntuale risposta, convinti che non trascurerai, nè sottovaluterai, il valore ed il significato delle nostre riflessioni e dei nostri propositi. Con molta cordialità". Ma alla minoranza il segretario ha ricordato che il primo a porre il tema era stato proprio lui, con le parole d'ordine che gli hanno fatto vincere il congresso. Nella sua relazione introduttiva Bersani ha ribadito la lettura del voto data nel pomeriggio in conferenza stampa. "Non accetto che si valuti il risultato in modo errato", ha insistito, Berlusconi ha perso 4 punti e il centrosinistra invece ha dimezzato lo svantaggio sul centrodestra. E nessuno, ha ribadito, due mesi fa avrebbe scommesso che si sarebbe avuta la meglio in sette regioni. Non solo. Si è vinto in comuni come Lodi, Lecco e Venezia, in zone che certo non sono feudo della sinistra. Alla minoranza che via via snocciolava dati sui voti persi ed elenco della spesa per costruire un nuovo Pd, alla fine Bersani ha ribattuto confermando la linea che lo ha portato l'ottobre scorso alla segreteria. C'è bisogno di "un rinnovamento della classe dirigente", è stato il suo primo monito. Poi è necessario agire "sul radicamento nel territorio". E aprire il dialogo con le altre forze di opposizione e della società civile. Dunque, "bisogna lavorare, non guardarsi l'ombelico. Il vero lavoro comincia ora".

"LUI DICE DI AVERE VINTO" - Lo sfidante di Bersani per la segreteria e uno dei firmatari della missiva, Ignazio Marino, ha ironizzato sulle possibili dimissioni di Bersani: "E perché mai? Il Pd non ha mica perso. Ce l'ha detto proprio lui ieri al coordinamento politico nazionale". "Siamo stati - ha spiegato il senatore - fino alle 2 di notte. C'erano il vino Cerasuolo, dolcetti, tramezzini e acqua minerale. Bersani ha detto che il Pd avanza e il partito di Berlusconi arretra. In chiusura D'Alema ha detto: 'Ci vuole un partito forte con un'alleanza forte e torneremo al governo'. Bell'idea - ha commentato Marino - sarebbe entusiasmante tornare al governo grazie ad un partito debole e un'alleanza debole". Nel frattempo, anche Beppe Grillo è tornato ad attaccare il segretario del Pd. "Che cosa vuol fare Bersani? Dovrebbero andare a casa tutti, non solo lui. Anche D'Alema, Fassino... sono trent'anni che sono lì. Trent'anni! Che provino un attimo ad andare a lavorare. Che se ne vadano a lavorare...", ha detto il comico intervistato da Affaritaliani.it. Chi rinnova la sua fiducia nei confronti di Bersani è invece Marco Pannela. "Lavoreremo con il Pd, e se si darà forza e ufficialità alla linea del segretario ne saremo felicissimi. Io tornerò, se non a candidarmi alla segreteria, a chiederne la tessera. Voglio essere impegnato lì perché è un fronte importantissimo" ha detto lo storico leader radicale.

Redazione online

31 marzo 2010

 

 

 

"Nel Lazio Zingaretti e altri si sono tirati indietro, Bonino un ripiego"

Renzi: tutta colpa dei fifoni del Pd

Il sindaco di Firenze: "Ora Bersani apra all'esterno

e la smetta con i caminetti"

MILANO — "Che si perdeva in Piemonte io lo sapevo già".

Davvero?

"Sì, qualche settimana prima delle candidature ero a Torino per il congresso Anci, e mi trovai a pranzo con Chiamparino, Cota e altri a Eataly. All’improvviso Cota fece a Chiamparino: "Chiampa, ma tu ti candidi? Perché se accetti io non scendo in campo: tanto si sa che con te non ce n’è per nessuno". Insomma, persino a Cota era chiaro che il nome per vincere in Piemonte c’era, ed era quello del sindaco di Torino". Il giorno dopo le elezioni regionali Matteo Renzi, giovane sindaco di Firenze ed esponente della nuova generazione del Pd, ha un tono più rassegnato che polemico. Anche se ieri è stato obbligato a occuparsi di tattiche calcistiche e non politiche: "Abbiamo il caso Fiorentina, qui: bella gatta da pelare".

Peggio delle Regionali?

"Mah, dipende dai punti di vista. Però sulle elezioni c’è poco da fare filosofia. Alcuni risultati come il Piemonte e il Lazio, ripeto, erano prevedibili. Chiamparino doveva correre e scegliere Emma Bonino è stato un errore. Per fortuna in Puglia siamo riusciti a fare le primarie, altrimenti anche lì finivamo suonati. Insomma, qualche problema di candidature c’è stato".

In Lazio errore strategico, dunque, secondo lei.

"Abbiamo perso contro una candidata senza lista... Valuti lei. Siamo stati proprio bravi, vero? Spero che qualcuno oggi, tra i dirigenti chiamati in causa durante le candidature e che si sono tirati indietro per viltà, oggi faccia autocritica".

Si riferisce a Nicola Zingaretti?

"Certo. Ma non solo a lui. I nomi sono noti. Alla fine Emma Bonino è stata un ripiego. Ma anche lei: si preoccupava più delle sue liste a Brescia che di quelle nel Lazio".

Mi faccia qualche esempio vincente, allora.

"Lodi, Mantova, Faenza, Venezia, Lecco, Lodi... Perché? Perché abbiamo messo in campo storie credibili. Come quella del mio amico Pippo Civati a Monza".

E adesso? Bersani dice di voler ripartire dal modello Liguria, che prevede un allargamento a Sinistra, Idv e Udc.

"Modello Liguria? Io direi invece modello Monza... Guardi, qui dobbiamo prima di tutto capirci su che tipo di partito vogliamo. Io sono per dire basta alle riunioni di caminetto e ai giochi di coalizione. Il mondo intorno a noi sta cambiando. L’astensionismo e il successo di Grillo dimostrano che la gente è arrabbiata con noi. Perché la politica non riesce più a emozionare. A Bersani dico che a me interessano poche idee ma chiare. E non i compagni di viaggio, perché le coalizioni non ci salvano. Se così fosse, in Piemonte avremmo vinto... Se Bersani riparte col dibattito sulle coalizioni saremo condannati al pecoraroscanismo. Con Di Pietro al posto di Mastella e Grillo al posto di Pecoraro Scanio. Ecco, se cominciamo così, mi prende male".

Il segretario pd teme però adesso una resa dei conti interna.

"Io sono contrario. Non serve a niente sostituire ogni sei mesi un segretario, ma è evidente che è necessario un cambio di passo. Faccia uno scatto, si tiri fuori dal pastone politico, e torni a dialogare con i cittadini. E basta con l’antiberlusconismo improduttivo. Anche perché il premier ha dimostrato che quando ci mette la faccia lui, e solo lui, vince. Vedi che miracolo ha fatto con la Polverini".

Ma esiste una questione Nord?

"Sì, certo. Però la verità è che se cominciamo a contestare questo governo sulle promesse mancate, forse i cittadini ci apprezzeranno di più. Ad esempio, dov’è la tanto decantata riforma fiscale? E la semplificazione? Io ho una città bloccata da procedimenti giudiziari e amministrativi. Allora dico, facendo sì il leghista: lasciateci lavorare senza imbrigliarci più nella vostre beghe romane".

Lei rappresenta la nuova generazione del Pd. E spesso ha parlato di un modello Toscana esportabile anche a livello nazionale. Ci crede ancora?

"Certo. La mia esperienza, ma anche quella del governatore Enrico Rossi, è più che esportabile. Da noi abbiamo ottenuto risultati significativi. Vedi il recupero di Prato. O i numeri del Pd toscano, che è il primo d’Italia. O il caso di Pontassieve, dove abito: percentuali bulgare. Insomma, abbiamo superato persino l’Emilia Romagna, dove secondo me hanno scontato l’effetto dello scandalo Delbono a Bologna. Noi giovani del Pd, dunque, siamo pronti a dare una mano. Ma basta coi caminetti. Parliamo di praterie".

Angela Frenda

31 marzo 2010

 

 

 

di pietro: "il Pd faccia piazza pulita delle nomenclature locali"

Bersani: "Siamo pronti alle riforme

su problemi reali, ma niente forzature"

Il leader Pd: "Il risultato elettorale? Non è una vittoria ma neanche una sconfitta. Il centrosinistra avanza"

MILANO - "Non intendo cantare vittoria ma neanche accettare una descrizione dei fatti che assomiglia a una sconfitta nostra e del centrosinistra". All'indomani del risultato elettorale, Pier Luigi Bersani traccia un bilancio per il suo partito e per l'intera coalizione. Il segretario del Pd ribadisce in conferenza stampa che nel voto c'è il segno di "un'inversione di tendenza". "Come coalizione, rispetto al dato delle europee abbiamo avuto ovunque un nostro avanzamento - spiega. - L'insieme dei dati regionali dà ragione del fatto di fondo: se guardiamo i dati di coalizione dalle europee ad oggi abbiamo sostanzialmente un dimezzamento delle distanze dal centrodestra". "È questo - aggiunge - che mi fa dire che c'è un segno di inversione di tendenza". Quanto al Pd, Bersani spiega: "Avanziamo di circa un punto rispetto a tutti gli altri partiti alle europee, c'è solo la Lega Nord che avanza dello 0,9 per cento". Per questo motivo, Bersani invoca "un'analisi più attenta e veritiera" dei risultati, considerando "che all'inizio di gennaio nessuno era disposto a scommettere che il centrosinistra conquistasse 7 regioni su 13".

COMUNALI E PROVINCIALI - Bersani non nasconde che per il centrosinistra il quadro è comunque "complicato". "Certamente c'è una difficoltà generale, anche nostra - ammette - che però non può oscurare questo elemento di tenuta rispetto alle europee". Nelle comunali, continua, "battiamo al primo turno ministri o viceministri, anche al primo turno. A L'Aquila perdiamo la provincia ma vinciamo nettamente nel Comune colpito dal terremoto e negli altri comuni del cratere".

GRILLO - Resta il fatto che il centrosinistra ha perso Campania e Calabria (ed era previsto), ma anche Lazio e Piemonte (con Cota e la Polverini che hanno battuto la concorrenza della Bresso e della Bonino). "Al Nord, e soprattutto in Piemonte - aveva spiegato in precedenza il leader democratico - i candidati di Beppe Grillo hanno tolto voti un po' a noi, un po' a Di Pietro. Non a caso in Toscana, dove Grillo non c'era, Di Pietro è andato molto bene". E ai giornalisti che gli chiedono se abbia senso favorire il centrodestra per impedire la costruzione della Tav, rischiando nel contempo anche la costruzione di una centrale nucleare, Bersani ha risposto: "Che devo dire? È un cupio dissolvi". Non è mancata, da parte di Bersani, un'analisi sul boom del Carroccio: "Il voto alla Lega è un voto contro Berlusconi. Al Nord, gli elettori del centrodestra hanno un bello sfogatoio, credono di votare contro Berlusconi e votano Bossi. Probabilmente lo fanno perché pensano che a un certo punto la Lega si smarcherà. Ma mi sembra chiaro che quello è un voto contro il presidente del Consiglio".

RIFORME - Quale sarà adesso il comportamento dell'opposizione nei confronti del governo? "Chi governa ha la responsabilità di dire che strada vuole prendere - risponde ancora Bersani. - Ogni tavolo che affronta problemi vicini ai cittadini ci vedrà al tavolo. Altrimenti faremo una ferma opposizione. Se si vuole intraprendere un cammino di svolta per indicare soluzioni vere agli italiani noi ci siamo. Se invece si vuole parlare di problemi lontani dai cittadini, noi denunceremo questo tipo di impostazione". Il segretario Pd però annuncia battaglia qualora la maggioranza forzi la mano su una riforma presidenzialista. "Se ci sarà una forzatura, sappiamo che il meccanismo prevede anche una consultazione popolare". Si vada in Parlamento, non temiamo la discussione sui temi istituzionali". E l'idea di consultare i gazebo lanciata da Berlusconi? "Non so cosa ne sappiano...".

DI PIETRO - E un invito a Bersani a darsi da fare arriva intanto dal leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che rinnova "stima e fiducia" al segretario del Pd e conferma che lo sentirà per fare il punto sul dopo-elezioni gli chiede, conversando con i giornalisti nella sede del partito, di "fare piazza pulita" delle "nomenclature locali del Pd che, "mosse da odi e rancori interni", sono costate "la vittoria al centrosinistra, preoccupate come sono state di ricandidarsi e confermare i propri posti. Bersani - dice Di Pietro - deve liberarsi finalmente da lacci e lacciuoli e di tutti quei cacicchi" che a livello locale ledono il Partito Democratico. Di Pietro, infine, sottolinea che "il Pd deve riflettere sulla necessità di un cambio generazionale nelle sue fila e non accontentarsi di quello che gli viene imposto dalle nomenclature".

Redazione online

30 marzo 2010

 

 

 

la primogenita dell'ex segretario

La piccola Veltroni e lo sfogo online

"Ora vediamo se qualcuno si dimette"

Martina, figlia dell'ex leader Pd, su Facebook: "Qualcuno si dimetta prima che mi venga la gastrite"

 

Walter Veltroni con le figlie Martina, a sinistra, e Vittoria, a destra (Omniroma)

MILANO - È quasi l'alba e Martina scrive sulla sua pagina di Facebook questa frase: "Vediamo se qualcuno si dimette, prima che mi venga la gastrite". Post criptico, se non fosse che la Martina in questione di cognome fa Veltroni ed è la figlia dell'ex segretario dei democratici Walter. Il post è stato scritto martedì all'alba. Nessun riferimento esplicito alle elezioni regionali ma dall'orario (visto il testa a testa notturno e il successivo esito dello scrutinio in Piemonte e nel Lazio) e dalla richiesta di dimissioni sembra chiaro che quello della figlia dell'ex segretario del Pd è uno sfogo per il risultato elettorale dei democratici. (Fonte Ansa)

 

30 marzo 2010

 

L'Aifa replica Il neo-governatore del Piemonte: "Le Regioni "devono" erogarla"

Cota chiude sulla pillola abortiva

"Cercherò di tenerle in magazzino"

La Loggia (Pdl): "Bene tutelare la vita". Viale (radicale): "Beccherà una nasata". Rossi (Pd): "Stupidaggine"

L'Aifa replica Il neo-governatore del Piemonte: "Le Regioni "devono" erogarla"

Cota chiude sulla pillola abortiva

"Cercherò di tenerle in magazzino"

La Loggia (Pdl): "Bene tutelare la vita". Viale (radicale): "Beccherà una nasata". Rossi (Pd): "Stupidaggine"

Roberto Cota a "Porta a Porta" (Eidon)

Roberto Cota a "Porta a Porta" (Eidon)

MILANO - Cercherò di tenere in magazzino le pillole abortive arrivate in Piemonte. La promessa è del neopresidente della regione, Roberto Cota, che in una intervista televisiva ha detto di pensarla, a riguardo, "in modo completamente diverso" rispetto al predecessore, Mercedes Bresso. "Sono per la difesa della vita e penso che la pillola abortiva debba essere somministrata quanto meno in regime di ricovero", ha spiegato. Sentendosi chiedere se le pillole che la Bresso aveva ordinato e che sono già arrivate in Piemonte rimarranno nei magazzini, lui ha replicato: "Eh sì, per quanto potrò fare io sì".

LA LOGGIA (PDL) - Immediate le reazioni politiche alle parole del neo-governatore. Favorevoli quelle del vice presidente dei deputati del Pdl Enrico La Loggia: "Apprezzo molto la posizione di Cota riguardo la pillola Ru486 a tutela della vita e contro le speculazioni che sino ad ora si sono fatte su questa materia".

VIALE-ROSSI - Non apprezza invece il ginecologo radicale Silvio Viale: "È il primo esempio di parola non mantenuta perché in campagna elettorale ben si è guardato dal dire che avrebbe bloccato la RU486, ma si è limitato a ripetere il ritornello del ricovero obbligatorio". Sulla stessa linea di Viale anche il neo presidente della Toscana Enrico Rossi, già assessore regionale alla salute: "Le sue dichiarazioni mi sembrano stupidaggini dettate forse dalla sua inesperienza in materia sanitaria o dalla volontà di catturare e strumentalizzare il consenso dell'opinione pubblica meno consapevole". La Ru486 è stata sperimentata anche in Toscana, all'ospedale di Pontedera (Pisa). "In Italia - prosegue Rossi - c'è una legge, la 194, che disciplina il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Il farmaco di cui si parla ha ottenuto l'autorizzazione alla distribuzione sul territorio nazionale. Infine nel nostro paese è garantita la libertà terapeutica, un ambito che riguarda solo il medico, il paziente e il loro rapporto. Tutto il resto sono chiacchiere inutili".

AIFA - Il direttore generale dell'Agenzia del farmaco, Guido Rasi replica indirettamente al presidente del Piemonte Roberto Cota e chiarisce che "le Regioni non possono fare come vogliono. Hanno una larga autonomia sulle modalità, le tempistiche e i percorsi di somministrazione di un farmaco, un buon margine operativo, ma prima o poi si deve trovare una modalità per l'erogazione di un farmaco già approvato". È il caso della RU486, approvata in Italia dall'Aifa con una delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso dicembre dopo anni di dibattiti e polemiche. "Le Regioni hanno ampi margini - ha ribadito Rasi - e potrebbero ritardare l'erogazione della pillola, ma dovranno renderne conto".

Redazione online

31 marzo 2010

 

 

 

E sul successore di Zaia: "Onorati se il premiere sceglie un leghista"

"Brunetta ko? Non è colpa della Lega

Ora vogliamo riforme, non poltrone"

Maroni: "Muoversi su federalismo, giustizia e fisco". La bocciatura a Venezia? "Nessun ordine dalla Carroccio"

Roberto Maroni

MILANO - La bocciatura di Renato Brunetta alle comunali di Venezia non è responsabilità della Lega. Intervistato su Sky Tg24 il ministro dell'Interno, Roberto Maroni respinge al mittente le accuse del collega di governo. "Noi non abbiamo il controllo degli elettori, che sono liberi. La stessa cosa è avvenuto a Lecco dove nello medesimo giorno gli elettori hanno votato diversamente per le regionali e per il comune", dove tra l'altro era candidato il nostro Roberto Castelli, spiega l'inquilino del Viminale. "Evidentemente - aggiunge Maroni - in Veneto hanno votato Zaia e hanno votato di meno Brunetta, ma certamente non c'è stato un ordine in tal senso della Lega".

ZAIA E BOSSI - Rispondendo alle domande di Maria Latella, Maroni bolla come "una sciocchezza" l'ipotesi che "ci sia stato l’ordine di Tremonti di non votare Brunetta a Venezia". Poi ribadisce che la Lega "non chiede nulla che riguardi posti o poltrone". "Chiediamo subito le riforme - puntualizza il ministro del Carroccio -. Questo è il prezzo politico che la Lega chiede per la sua vittoria". Prova ne è la posizione assunta da via Bellerio in merito alla sostituzione di Zaia al ministero delle Politiche agricole: "Se Berlusconi decidesse di dare ancora questo ministero a un leghista dopo l'ottimo lavoro di Zaia, ne saremmo felici e onorati spiega il ministro dell'Interno - . Di nomi ne abbiamo tanti. Prima che diventasse ministro pochi conoscevano Zaia e ne abbiamo tante di sorprese, uomini e donne della Lega in grado di ricoprire qualsiasi incarico da sindaco a ministro. Deciderà però il presidente del Consiglio. Noi non chiediamo poltrone, anche se abbiamo vinto le elezioni". Stesso discorso vale per l’ipotesi di Umberto Bossi sindaco di Milano: "Bossi - sottolinea il ministro - ha detto che ha prenotato la poltrona di sindaco di Milano. Io sono sicuro che ogni esponente della Lega è in grado di svolgere qualsiasi compito".

FEDERALISMO, FISCO E GIUSTIZIA - Per Maroni "sono tre i terreni di riforma su cui esercitarsi. Quello economico, con la riforma fiscale, assolutamente necessaria per sgravare i costi fiscale alle famiglie e alle imprese; quello della giustizia (molte proposte sono già all'esame del Parlamento), con la separazione delle carriere che a noi sta molto a cuore; la riforma dello Stato con federalismo, presidenzialismo e riduzione del numero dei parlamentari". "Abbiamo tre anni di tempo - sottolinea il ministro -. La fortuna è che a parte Milano e Napoli non ci sono grandi appuntamenti elettorali che possano interferire con l'azione del Governo e con l'azione del Parlamento". E il Pd? Per Maroni è un "interlocutore indispensabile" per le riforme istituzionali, ma solo se ritrova "forza e autorevolezza".

IL CARROCCIO E LA DC - Quanto alla genesi del Carroccio, il ministro dell'Interno spiega che "la Lega è nata contro la Dc", ma che ne riprende la "parte buona. La Dc era fatta da alcuni malfattori, ma tanti tantissimi sindaci onesti e che sono stati travolti dal tracollo del partito senza colpa. Quest'esperienza della Dc di popolo, certamente l'abbiamo presa non le degenerazioni del 'Caf' il Craxi-Andreotti-Forlani, ndr)", sostiene il ministro. Che a proposito del ruolo futuro del figlio di Bossi, Renzo sottolinea: "Renzo Bossi, potendo entrare nel Consiglio regionale della Lombardia nel 'listinò senza sottoporsi al giudizio degli elettori, ha scelto di entrare in lista cercandosi i voti. È una scelta di grande responsabilità che va in senso contrario rispetto al familismo. È una prova di serietà".

Redazione online

31 marzo 2010

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-03-31

Le analisi del voto nel centrosinistra dopo le elezioni di domenica e lunedì

Chiamparino: "E' vero, è stata una sconfitta, ma non una disfatta"

49 senatori scrivono a Bersani: "Serve più anima "

La Bonino: "Non tutto il Pd ha lavorato per me"

Il segretario alla minoranza: "Discutere ma senza guardarsi l'ombelico"

49 senatori scrivono a Bersani: "Serve più anima " La Bonino: "Non tutto il Pd ha lavorato per me"

Sergio Chiamparino

ROMA - Si accende il dibattito all'interno del Pd. Quarantanove senatori scrivono a Bersani. Emma Bonino, sconfitta alla Regione Lazio, attacca la minoranza del partito. E in ordine sparso, alcune personalità della coalizione, con o senza responsabilità istituzionali, esprimono le loro valutazioni su quanto è accaduto. Il risultato di 7 a 6 è considerato una catastrofe da alcuni, c'è chi invece fa raffronti con le ultime elezioni europee, rispetto alle quali si sarebbe ridotta di 3 punti la distanza con il Pdl. Discussione accesissima durante il Coordinamento nazionale di ieri sera: al centro la linea del partito, ma anche la forma e le alleanze che il Pd dovrà avere. E a chi lo attacca il segretario democratico replica: "Bisogna lavorare, anche discutere ma non guardarsi l'ombelico".

La lettera. Una lettera di 49 senatori del Pd a Pierluigi Bersani confuta apertamente l'impostazione che il segretario del partito ha dato ieri all'analisi del voto. L'iniziativa è partita da Gian Piero Scanu, ma ha raccolto l'adesione di quasi la metà dei componenti del gruppo Pd al Senato. I parlamentari di tutte le aree del partito hanno chiesto un colpo di reni e maggiore generosità.

Caro segretario. "Il passaggio elettorale di questi giorni ci consegna molteplici spunti di riflessione, che non mancheranno di essere approfonditi nelle settimane che verranno", si apre la missiva diffusa alla stampa.

"A nostro avviso ci troviamo di fronte a un momento della vita del nostro Paese rispetto al quale s'impongono, da parte di tutti noi, una maggiore generosità nell'impegno, una più partecipata attività politica e una nuova consapevolezza riguardo l'effettiva portata dell'emergenza democratica in cui viviamo", hanno sottolineato i firmatari

 

Secondo i senatori, "il lavoro ordinario non basta più. I ritmi ortodossi sono troppo lenti. Le liturgie della casa sono stantie. I cartellini da timbrare sono sempre più falsati". "L'imborghesimento ci tenta in continuazione", hanno ammesso, "e arriva persino a coinvolgerci in scellerate trasversalità ammantate di riformismo. I nostri valori fondanti rischiano di vacillare sotto i colpi della sfiducia e di un neorelativismo che intossica le nostre coscienze per condurci verso la più colpevole accidia". Dunque, è la richiesta a Bersani, "bisogna cambiare passo. Bisogna muoversi subito. Bisogna accedere a una nuova dimensione del nostro impegno politico che anche noi parlamentari spesso non esprimiamo con la necessaria efficacia. Serve un supplemento d'anima".

Per questo, si legge ancora nella lettera "ti poniamo l'esigenza di incontrarci subito per riflettere insieme. Per trovare, dopo una leale discussione, la giusta strada da percorrere per servire degnamente il nostro Paese. Non intendiamo farci consumare addosso i prossimi tre anni della legislatura, immersi in un attendismo fideistico che assegna al destino il compito di liberare l'Italia dal sultanato che la devasta". E ora, si chiude la lettera, "aspettiamo con fiducia una tua puntuale risposta, convinti che non trascurerai, nè sottovaluterai, il valore e il significato delle nostre riflessioni e dei nostri propositi".

Emma Bonino. La candidata per il centrosinistra alla presidenza del Lazio ha commentato molto polemicamente il voto durante una conferenza stampa: "L'impegno del gruppo di Bersani è stato deciso, determinato e generoso, altri non l'hanno pensata così. Il Pd non era tutto entusiasta, immagino che chi non lo era non si sia adoperato molto. Cosa non ha funzionato? - ha aggiunto la vice presidente del Senato - quello che ho già spiegato: le presenze tv. Io non ho avuto mai di fronte la Polverini. Ma tutt'altri: ho avuto contro l'alleanza Bagnasco-Berlusconi. Legittimo: ma non ho avuto la possibilità di replicare. Con il contraddittorio ci sarei stata, ma a senso unico non era possibile reggere". A chi le ha chiesto se continuerà a lavorare al Senato, oppure se guiderà l'opposizione in Consiglio regionale, Emma Bonino ha risposto che "si occuperà del Lazio", senza però specificare da quale delle due postazioni.

La replica di Bersani. Il leader Pd risponde a Franceschini e Veltroni che considerano il voto una sconfitta, risponde: "Mi pare ci possiamo intendere: un conto è far riferimento a cinque anni fa in un altro scenario politico, un conto è rispetto alle europee e questa volta ci sono dati nuovi con Berlusconi sceso di 4 punti e mezzo e la Lega che non ha colmato i voti persi dal Pdl. Noi abbiamo accorciato le distanze con il centrodestra". Quindi Bersani ripropone la sua ricetta: "Noi abbiamo bisogno di prendere il passo, il Pd deve radicarsi come grande partito popolare, del lavoro, della costituzione e della nuova unità del Paese, partito di una alternativa a Berlusconi che in questo momento è in mano a Bossi e per far questo bisogna lavorare. Bisogna anche discutere, ma non guardarsi l'ombelico''. E al leader dell'Idv Antonio Di Pietro che ha invitato i democratici a scegliere subito il candidato premier del centrosinistra dice: ''Mi pare francamente un po' prematura questa discussione. Lo vedremo quando sarà il momento. Io sono convinto che tutti quanti assieme sceglieremo la persona che ci farà vincere. Di questo sono sicuro''.

Il sindaco di Torino. Da Torino parla Sergio Chiamparino. "Bisogna dire la verità - afferma - è stata una sconfitta non una disfatta: anzi, la vittoria della Lega rende questo paese più contendibile di prima. Ci sono le condizioni - aggiunge - per costruire un'alternativa e io mi auguro che il Pd affronti nel più breve tempo possibile. Parlando del voto piemontese, Chiamparino ha sottolineato che è stata una sconfitta molto di misura, che rispecchia una situazione che vede il centrosinistra andare bene nell'area torinese ed un andamento opposto nel resto della regione".

A chi gli domandava se è necessario riproporre il tema del partito del nord per il Pd, Chiamparino ha risposto: "Non è urgente, è urgente invece per il Pd recuperare una capacità di rappresentanza significativa nel nord. Penso ad un partito nazionale che sappia interpretare la realtà del nord". Sul segretario del partito, Bersani, ha detto: "Ha fatto il massimo che poteva nelle condizioni date".

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Il neopresidente della regione interviene sulla pillola appena arrivata in Italia

"La penso in modo completamente diverso dalla Bresso. Farò ciò che posso per fermarla"

Cota contro la Ru486 in Piemonte

"Per me può restare nei magazzini"

Il sottosegretario alla Salute Roccella: "Se non viene inserita nel prontuario regionale, gli ospedali

non potrebbero di fatto ordinarla". Rossi: "Cota crede di essere ancora in campagna elettorale"

Cota contro la Ru486 in Piemonte "Per me può restare nei magazzini"

Roberto Cota

TORINO - La Ru486 va somministrata in ospedale e le confezioni già arrivate in Piemonte potrebbero restare al momento nei magazzini: è quanto ha detto il neopresidente leghista della Regione, Roberto Cota, ai microfoni di "Mattino Cinque" durante la rubrica "La telefonata" di Maurizio Belpietro. Sulla Ru486 Cota ha idee "completamente diverse" da quelle dell'ex presidente Mercedes Bresso: farà quanto in suo potere per fermarla. Da domani le farmacie ospedaliere potranno avviare la procedura per richiedere la pillola, e già il percorso della Ru486 in Piemonte potrebbe incontrare lo stop della Regione, nel caso in cui non venisse inserita nel prontuario regionale. Almeno così ha detto il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che ancora una volta non ha mancato di sottolineare la sua contrarietà a una pillola che non è "un farmaco meraviglioso". La questione, però, è controversa, visto che l'Agenzia Italiana del Farmaco l'ha già messa nel prontuario nazionale e anche questa sera ha puntualizzato che come per qualsiasi farmaco "le Regioni hanno un largo margine di autonomia per stabilire tempi e modalità, ma non c'è dubbio che se il farmaco è approvato dall'Aifa prima o poi si dovrà erogare".

"Sono per la difesa della vita - ha detto Cota - e penso che la pillola abortiva debba essere somministrata quanto meno in regime di ricovero". Alla domanda "Ma quindi quelle pillole che la Bresso aveva ordinato e che sono già arrivate in Piemonte, rimarranno nei magazzini?", la risposta è stata: "Eh sì, per quanto potrò fare io sì".

A spiegare come si potrebbe rallentare la commercializzazione della pillola a livello regionale è Eugenia Roccella: "Nonostante l'Agenzia Italiana del Farmaco abbia autorizzato l'immissione in commercio a livello nazionale della pillola, tecnicamente i presidenti delle regioni potrebbero rallentare o anche impedire che il farmaco arrivi negli ospedali non facendolo introdurre nel prontuario regionale". Il sottosegretario ha anche annunciato l'insediamento, nei prossimi giorni, di un'apposita commissione al ministero della Salute "per l'uso della pillola e il relativo monitoraggio", al fine di arrivare a "un'applicazione omogenea della legge 194 e delle indicazioni del Consiglio superiore di sanità".

 

"La Ru486 - ha aggiunto Roccella - ha completato tutto il suo iter dal punto di vista legislativo, una volta che l'Aifa ha stabilito il prezzo e autorizzato la messa in commercio secondo il prontuario nazionale. A livello regionale, invece, l'arrivo della pillola può essere rallentato o bloccato sotto un profilo tecnico-economico". Nello specifico, se non viene inserita nel prontuario regionale, gli ospedali non potrebbero di fatto ordinarla. "Tuttavia - ha aggiunto il sottosegretario - va detto che, in un'eventualità del genere, si aprirebbe poi un problema con l'Aifa, dal momento che il prontuario nazionale è il suo".

In un'intervista a RaiNews24, Roccella anche ribadito l'importanza delle indicazioni date dal ministero della Salute sull'uso della pillola esclusivamente in ambito ospedaliero e sottoponendo le donne al trattamento in regime di ricovero. "Spero che le regioni rispettino il parere scientifico del Consiglio superiore di sanità e prevedano l'ospedalizzazione dall'inizio alla fine del trattamento". "L'aborto non è una vittoria - ha aggiunto - e questo farmaco non è un 'farmaco meraviglioso', ha molti effetti collaterali e va assunto con il ricovero: c'è la possibilità di scavalcare la legge 194, che è una buona legge e vogliamo che sia applicata interamente".

Contro Roccella è intervenuta Livia Turco, capogruppo del Pd nella commissione Affari sociali di Montecitorio. "ll sottosegretario dovrebbe occuparsi di prevenzione dell'aborto, di politiche per l'infanzia, di potenziamento dei consultori e di lotta alla povertà", ha commentato la Turco. "E invece passa il suo tempo ad accanirsi contro la Ru486. Questo è pazzesco", ha aggiunto. "Se turba così tanto la sua coscienza l'introduzione in Italia della pillola, farebbe bene a dimettersi dal ruolo che le è stato affidato". Immediata è arrivata la risposta della diretta interessata: "Anche la coscienza di Livia Turco dovrebbe essere turbata - ha detto Roccella - dalla possibilità che l'introduzione della Ru486 possa portare all'aborto a domicilio, nel caso in cui qualcuno non volesse rispettare il parere scientifico del Consiglio".

L'attacco di Cota alla Ru486 è stato condannato dal neo presidente della Toscana, Enrico Rossi. "Cota non si è accorto che la campagna elettorale è finita. Le sue dichiarazioni mi sembrano stupidaggini dettate forse dalla sua inesperienza in materia sanitaria o dalla volontà di catturare e strumentalizzare il consenso dell'opinione pubblica meno consapevole". La Ru486 è stata sperimentata anche in Toscana, all'ospedale di Pontedera (Pisa). "In Italia - ha detto Rossi - c'è una legge, la 194, che disciplina il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Il farmaco di cui si parla ha ottenuto l'autorizzazione alla distribuzione sul territorio nazionale. Infine, nel nostro Paese è garantita la libertà terapeutica, un ambito che riguarda solo il medico, il paziente e il loro rapporto. Tutto il resto sono chiacchiere inutili".

(31 marzo 2010)

 

 

 

La Lega nega ogni responsabilità per la bocciatura del ministro della P.A. candidato a sindaco di Venezia

Vertice Pdl da Berlusconi a palazzo Grazioli con i capigruppo di Camera e Senato, La Russa, Alfano e Letta

Maroni respinge le accuse di Brunetta

"Elettori liberi, nessun ordine di non votarlo"

Il premier sarebbe orientato a respingere le dimissioni presentate dal ministro Fitto nel Cdm di domani

Maroni respinge le accuse di Brunetta "Elettori liberi, nessun ordine di non votarlo"

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni

ROMA - Vertice dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a palazzo Grazioli per discutere dell'agenda dei prossimi mesi. Sul tavolo le dimissioni presentate dal ministro Raffaele Fitto (che potrebbero essere respinte) e il successore di Luca Zaia all'Agricoltura. Intanto la Lega respinge ogni responsabilità per la bocciatura del ministro Renato Brunetta, candidato a sindaco di Venezia, che aveva puntato il dito contro il Carroccio per la sconfitta.

La risposta di Maroni a Brunetta. ''Noi non abbiamo il controllo degli elettori, che sono liberi. Evidentemente gli elettori leghisti hanno votato Zaia, ma hanno votato meno Brunetta. Bisogna capire perché, ma certamente non c'è stato un ordine in tal senso della Lega'', ha spiegato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, intervistato da SkyTg24. Per quanto riguarda invece la sconfitta di Roberto Castelli a Lecco, secondo Maroni ''gli elettori hanno voluto punirci perché, per liti interne, non abbiamo completato il mandato precedente. C'era il sindaco della Lega che è andato in crisi e si è dovuto dimettere e questo pesa''.

Invece, in merito a Luca Zaia, neoeletto governatore del Veneto che dovrà lasciare il dicastero delle Politiche agricole, il ministro dell'Interno afferma: ''Se Berlusconi decidesse di dare ancora questo ministero a un leghista dopo l'ottimo lavoro di Zaia, ne saremmo felici e onorati. Di nomi ne abbiamo tanti. Prima che diventasse ministro pochi conoscevano Zaia e ne abbiamo tante di sorprese, uomini e donne della Lega in grado di ricoprire qualsiasi incarico da sindaco a ministro. Deciderà però il presidente del Consiglio. Noi non chiediamo poltrone, ma solo le riforme''.

 

Vertice del Pdl. Nella residenza romana del premier sono arrivati i capigruppo Pdl al Senato e alla Camera Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto per discutere dell'esito delle elezioni regionali e fare il punto sull'agenda di governo. A palazzo Grazioli c'erano anche il Guardasigilli Angelino Alfano, il coordinatore nazionale del Pdl Ignazio La Russa, i sottosegretari Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, e l'avvocato Nicolò Ghedini. In precedenza Berlusconi aveva incontrato Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo del Pdl a Palazzo Madama e Ignazio Abrignani, responsabile elettorale del Popolo della Libertà che ai cronisti ha parlato di un Berlusconi "molto sereno e contento".

Le dimissioni di Fitto. Molte le questioni sul tavolo, tra le quali le dimissioni del ministro Fitto (dopo la sconfitta elettorale in Puglia) che apre le porte a possibili 'rimpastini' da fare in tempi brevissimi, prima del Consiglio dei ministri di domani mattina, anche se sembra che i tempi siano destinati ad allungarsi. "E' un problema del Pdl, non abbiamo bisogno del ministero degli Affari regionali, il ministro delle Regioni ce l'abbiamo già, è Bossi", precisano intanto fonti del Carroccio.

La Lega non ha invece nessun dubbio sul successore di Luca Zaia: "Il ministero dell'Agricoltura è nostro...". Il problema comunque esiste. E qualcuno tra i leghisti la butta lì: "Siamo sicuri che la carica di governatore sia incompatibile con quella di ministro? C'è un precedente, quello di Bassolino quando era ministro del Lavoro e sindaco di Napoli...". Allo stato, però, non si sa se il mantenimento del 'doppio incarico', che poteva sembrare un'ipotesi per sparigliare le carte, possa realmente concretizzarsi.

Silvio Berlusconi tace e dicono non abbia ancora deciso sul da farsi. Sembra difficile, riferiscono fonti del Pdl, che il Cavaliere faccia un blitz già domani al consiglio dei ministri, risolvendo in un sol colpo non solo il rebus Fitto. Autorevoli fonti della Lega e del Pdl assicurano che ogni ritocco alla squadra di palazzo Chigi dovrebbe essere rinviato a dopo Pasqua. Quanto alla Puglia, fonti parlamentari della maggioranza assicurano che Berlusconi sarebbe intenzionato, nella riunione dell'esecutivo di domani, a respingere le dimissioni presentate da Fitto.

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Clamorosa decisione del responsabile dei rapporti con le Regioni

che aveva imposto il suo ex assessore come sfidante di Vendola

Regionali, Fitto si dimette

"Palese è stato sconfitto"

Gasparri: "Gesto responsabile ma le dimissioni vanno respinte"

Regionali, Fitto si dimette "Palese è stato sconfitto"

Raffaele Fitto

ROMA - Raffaele Fitto ha presentato si è dimesso dall'incarico di ministro degli Affari regionali. Una decisione arrivata all'indomani della sconfitta di Rocco Palese, l'ex assessore candidato dal centrodestra come sfidante di Nichi Vendola nella corsa alla presidenza della Regione Puglia. Il ministro si è ampiamente speso nel corso della campagna elettorale a favore di Palese, è stato per molti versi l'artefice della sua candidatura. Parallelamente Adriana Poli Bortone, potenziale candidata del centrodestra, aveva deciso di correre autonomamente con l'appoggio dell'Udc.

Poche ore prima delle dimissioni di Fitto, Vendola aveva detto: "Sconfitto Fitto? Questo è indubitabile. Spero che non lo dicano troppo perché non vorrei che Fitto subisse una estromissione dai luoghi del potere. Perché Fitto è stato per me un alleato troppo prezioso. La sua idea della lotta politica è talmente primitiva e insultante". "La prima causa della crisi del centrodestra in Puglia si chiama Raffaele Fitto. Per quello io - aveva aggiunto il governatore fresco di rielezione - ho fondato questa associazione: 'Nessuno tocchi Raffaele'".

Per la Poli Bortone le elezioni di domenica e lunedì sono state una beffa. Arrivata terza, l'ex ministro di An non è neanche entrata in consiglio regionale perché la legge non prevede l'elezione del terzo candidato e nel suo raggruppamento hanno preso più voti i candidati dell'Udc. Per alcune settimane si era discusso animatamente della possibilità che il Popolo della libertà appoggiasse la Poli Bortone ma alla fine Fitto era riuscito ad imporsi con Berlusconi appoggiando il suo ex assessore, anche lui originario della provincia di Lecce.

SCHITTULLI: DIMISSIONI DA RITIRARE

''Siamo di fronte ad un politico che sa prendersi tutte le responsabilità, anche e soprattutto quelle altrui, dando prova di seria appartenenza ad un partito e all'importanza di fare squadra''. Lo afferma il presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittelli, commentando le dimissioni del minsitro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto. ''Al ministro Fitto - aggiunge in una dichiarazione - riconosco coraggio politico e sensibilità umana, ma deve necessariamente ritirare le dimissioni presentate. In questo momento il centro destra pugliese ha bisogno di restare unito e di analizzare con serenità e fiducia l'esito elettorale''. ''Con le dimissioni di Fitto, inoltre - dice Schittulli - la Provincia di Bari e l'Unione regionale delle Province pugliesi perderebbero un importante e determinante punto di riferimento in seno al governo nazionale proprio in un momento in cui la Puglia e l'intero Mezzogiorno hanno bisogno di un giovane ed autorevole rappresentante che può e deve farsi carico delle istanze e dei bisogni del nostro meridione''.

FITTO: TATARELLA, PAGA SCELTE PREPOTENTI E MIOPI

"Quello del ministro Fitto mi sembra un atto doveroso, oltre che una assunzione di responsabilità politicamente apprezzabile". Lo dichiara l'eurodeputato del Pdl Salvatore Tatarella. "Le scelte sbagliate del ministro di Maglie - spiega in una nota - imposte con prepotenza e con qualche furbizia a un riottoso e alla fine remissivo Silvio Berlusconi, hanno penalizzato innanzitutto la Puglia, ma hanno anche tolto al centrodestra la grande soddisfazione di uno storico sorpasso: il conto finale del 7 a 6 sarebbe stato un trionfo: il 6 a 7 è pur sempre un successo, ma se un po' di amaro ci resta in bocca dobbiamo dire grazie solo a Raffaele Fitto". "Se invece di obbedire a un miope e personale calcolo di potere personale - prosegue Tatarella - Fitto avesse accolto il paterno consiglio di Silvio Berlusconi di candidare Adriana Poli Bortone, allargando l'alleanza anche all'Udc, oggi staremmo festeggiando la vittoria del centrodestra anche in Puglia e Nichi Vendola, invece di una nuova icona della sinistra nazionale, sarebbe solo un ex presidente di Regione, sconfitto al pari dei suoi colleghi meridionali di Calabria e Campania: sommando i voti ottenuti dalla Poli e da Rocco Palese, Vendola sarebbe stato nettamente battuto". "Così - conclude Tatarella - per quanto gli va dato merito per le dimissioni e la assunzione di responsabilità, questo atto non esaurisce la necessità che in Puglia si apra immediatamente un dibattito per ridisegnare scelte politiche e classe dirigente del Pdl".

GASPARRI: DIMISSIONI DA RESPINGERE

''Penso che sia il gesto di un dirigente responsabile, un gesto che deve essere respinto'', afferma il Presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, sulle dimissioni da ministro di Raffaele Fitto. Gasparri aggiunge: ''Stimo Fitto e complessivamente il risultato del Pdl al sud è ottimo. Il Pdl, visti i numeri, aveva diritto ad esprimere un proprio candidato in Puglia''.

PISICCHIO (Api): "ATTO DI GRANDE DIGNITA'

''Fitto ha compiuto un gesto di grande dignita', bisogna dargli atto, alquanto inusuale nella famiglia politica che lo annovera. Il suo gesto è assai più eloquente di molte inutili dichiarazioni dei suoi sodali''. Così Pino Pisicchio, deputato pugliese di Alleanza per l'Italia, commenta le dimissioni del ministro Fitto.

POLI BORTONE: "DOPO SCONFITTA SONO UN ATTO DOVUTO"

''Le dimissioni di Fitto? Dopo una sconfitta del genere sono un atto dovuto''. E' la lettura che la senatrice Adriana Poli Bortone, che con Io Sud e Udc era in corsa per la poltrona di governatore in Puglia, dà delle dimissioni presentate dal ministro degli Affari Regionali. ''Se devo dare una lettura benevola - afferma Poli Bortone, interpellata telefonicamente - direi che dopo tre sconfitte, alle regionali del 2005, alle amministrative e, infine a queste ultime regionali in maniera così eclatante e voluta, le sue dimissioni sono un atto dovuto. In Puglia si stava facendo un certo discorso con Udc e Io Sud, ma Fitto ha imposto in maniera ostinata una candidatura - prosegue Poli Bortone, riferendosi a Rocco Palese - e Berlusconi ha accettato. Per questo parlo di sconfitta voluta''. ''Se invece dovessi dare una lettura più benevola - prosegue la senatrice - quella di Fitto potrebbe essere un'abile mossa tattica per anticipare di decisioni che il presidente del Consiglio avrebbe preso lo stesso, nella segreta speranza che Berlusconi ci ripensi e le rifiuti. Certo, se il premier fossi io esonereei Fitto dal suo incarico, accetterei le dimissioni e penserei per la Puglia a una classe dirigente meno miope e più politica.

FRATOIANNI (Sel): "GIUSTA DECISIONE"

''Le dimissioni di Raffaele Fitto sono la conseguenza naturale della situazione creatasi in Puglia: competitore nominale in questa campagna elettorale è stato Rocco Palese ma il protagonista reale è stato Raffaele Fitto''. Lo afferma il coordinatore regionale di Sinistra ecologia e libertà, Nicola Fratoianni, commentando la decisione del ministro dei Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, di dimettersi dall'incarico dopo la sconfitta del candidato del centrodestra in Puglia, Rocco Palese. ''La sconfitta clamorosa di Raffaele Fitto mi pare che preveda - afferma Fratoianni - le possibili dimissioni''. ''Ci auguriamo che questa scelta - continua Fratoianni - segni la fine di una stagione nella quale la battaglia politica è stata concepita come una punizione per il popolo pugliese da parte del governo nazionale''.

(30 marzo 2010)

 

 

 

L'UNITA'

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2010-03-31

Lettera di 49 senatori a Bersani: ora bisogna cambiare passo

L'iniziativa è partita da Gian Piero Scanu, ma ha raccolto l'adesione di quasi la metà dei componenti del gruppo Pd al Senato. Con una lettera al segretario Pier Luigi Bersani, 49 senatori di tutte le aree del partito hanno chiesto un colpo di reni e maggiore generosità. "Caro segretario, il passaggio elettorale di questi giorni ci consegna molteplici spunti di riflessione, che non mancheranno di essere approfonditi nelle settimane che verranno", si apre la missiva diffusa alla stampa.

"A nostro avviso ci troviamo di fronte a un momento della vita del nostro Paese rispetto al quale s'impongono, da parte di tutti noi, una maggiore generosità nell'impegno, una più partecipata attività politica e una nuova consapevolezza riguardo l'effettiva portata dell'emergenza democratica in cui viviamo", hanno sottolineato.

Per i senatori, "il lavoro ordinario non basta più. I ritmi ortodossi sono troppo lenti. Le liturgie della casa sono stantie. I cartellini da timbrare sono sempre più falsati". "L'imborghesimento ci tenta in continuazione", hanno ammesso, "e arriva persino a coinvolgerci in scellerate trasversalità ammantate di riformismo. I nostri valori fondanti rischiano di vacillare sotto i colpi della sfiducia e di un neorelativismo che intossica le nostre coscienze per condurci verso la più colpevole accidia". Dunque, è la richiesta a Bersani, "bisogna cambiare passo. Bisogna muoversi subito. Bisogna accedere a una nuova dimensione del nostro impegno politico che anche noi parlamentari spesso non esprimiamo con la necessaria efficacia. Serve un supplemento d'anima".

Per questo, "ti poniamo l'esigenza di incontrarci subito per riflettere insieme. Per trovare, dopo una leale discussione, la giusta strada da percorrere per servire degnamente il nostro Paese. Non intendiamo farci consumare addosso i prossimi tre anni della legislatura, immersi in un attendismo fideistico che assegna al destino il compito di liberare l'Italia dal sultanato che la

devasta".

E ora, si chiude la lettera, "aspettiamo con fiducia una tua puntuale risposta, convinti che non trascurerai, nè sottovaluterai, il valore e il significato delle nostre riflessioni e dei nostri propositi".

Seguono le firme di Gian Piero Scanu, Daniele Bosone, Gianrico Carofiglio, Marco Filippi, Giuseppe Lumia, Paolo Rossi, Alberto Tedesco, Claudio Molinari, Manuela Granaiola, Francesco Ferrante, Marilena Adamo, Vittoria Franco, Vincenzo Vita, Paolo Giaretta, Achille Serra, Roberto Di Giovanpaolo, Vincenzo De Luca, Franca Biondelli, Mauro Del Vecchio, Adriano Musi, Silvio Sircana, Felice Casson, Massimo Livi Bacci, Mariapia Garavaglia, Alfonso Andria, Giovanni Procacci, Franca Donaggio, Emanuela Baio, Luigi Lusi, Roberta Pinotti, Luigi De Sena, Leana Pignedoli, Flavio Pertoldi, Teresa Armato, Antonio Rusconi, Marina Magistrelli, Andrea Marcucci, Daniela Mazzuconi, Maria Teresa Bertuzzi, Anna Serafini, Mauro Marino, Ignazio Marino, Maria Fortuna Incostante, Paolo Nerozzi, Anna Maria Carloni, Maria Leddi, Anna Rita Fioroni, Alberto Maritati, Tiziano Treu.

31 marzo 2010

 

 

Vendola al Pd: "Berlusconi non andrà via da solo. Azzeriamo tutto per ripartire"

di Marco Bucciantinitutti gli articoli dell'autore

Da ragazzo vendeva i libri, poi cominciò a correggere bozze, a ragionare sulle parole, cercarne di migliori. Si è sentito ricco quando ha potuto comprarsi le opere complete di Pavese, "mi affascinò la sua scrittura meno legata ai codici dell’eloquenza e più allacciata al ritmo della vita". Il centrosinistra riparte da qui, da Terlizzi, dalla Puglia, dal linguaggio diverso di questo uomo del sud, Nichi Vendola. "Adesso servono occhi per vedere, e voglia di capire questo Paese. Dobbiamo ritornare a pensare. Cominciando dalla domanda più scontata ed elusa di questi anni: cosa sta succedendo all’Italia? E la risposta deve partire da una consapevolezza: Berlusconi non è una anomalia di questo Paese, ma la sua autobiografia".

Vendola sta andando a Roma, per impegni "personali". Ma è un viaggio simbolico, atteso. Incontra cittadini che gli propongono – subito – un nuovo, messianico, obiettivo. "Devi guidare il centro sinistra". Al solito, si appassiona alle sue parole, e s’attarda con qualunque giornalista o passante voglia discutere di qualsiasi cosa. Il pollice della mano destra è fasciato da un anello d’oro, dono di un pescatore di Mola di Bari, "era il ricordo di maggior valore che serbava della madre. È il mio anello di fidanzamento con la Puglia". Ha questi cedimenti ortodossi. Stretto nella mano ha l’ultimo, bellissimo, struggente libro di Erri De Luca, Il peso della farfalla. Con lo scrittore campano condivide il legame ombelicale, eterno con la madre, che pervade le pagine di De Luca e che accompagna la biografia del governatore: l’anziana signora Vendola anche ieri mattina mostrava euforica dal suo modernissimo computer l’inaugurazione a Berlino della Fabbrica di Nichi, questi nuovi spazi e modi di aggregare i sostenitori.

Come vent’anni fa la Lega cambiò il linguaggio della politica, parlando alla pancia della gente di destra, conservatrice, del nord, Vendola cerca parole nuove, e con quelle trova il cuore della gente del sud. Vuole e deve portare questo linguaggio fuori dalla Puglia, misurarlo con un elettorato più vasto, deluso, risalendo la Penisola: "Ma se cominciamo a parlare di chi deve fare il leader, allora continuiamo a perdere".

E per vincere, come deve parlare il centrosinistra?

"Non è un problema di stile della comunicazione. È il contenuto del messaggio che va cambiato: cambiandolo, si troveranno parole appropriate, e per forza nuove. Il centrosinistra non è un messaggio forte, riuscito. È frammentario, allusivo: allude ai problemi, in campagna elettorale, ma prima e dopo il voto non li affronta, né quando governa e né quando potrebbe organizzare l’alternativa. E queste allusioni si trasformano implicitamente in illusioni. E infine in delusioni".

Il Pd pare non avere i numeri per sperare nell’autosufficienza e nemmeno per esser perno di una coalizione così eterogenea...

"Non imparano mai, continuano a sbagliare. La situazione andrebbe azzerata. Intanto dovrebbero ammettere che il risultato nazionale è negativo".

È vero che assieme a Veltroni potreste rilanciare un nuovo Pd, che nascerebbe già allargato verso sinistra?

"Mah... non è questa l’urgenza...(e allarga le braccia e ripete la muta smorfia che aveva seguito la richiesta di un commento alle dimissioni del suo grande avversario, il ministro Raffaele Fitto, ndr)".

Da dove si comincia?

"Faccio una proposta: mettiamo tutto in discussione, senza tabù, senza steccati. Ognuno porta quello che ha, io porto la mia dote".

Presidente, a livello nazionale la sua dote è del 3%...

"È un micro patrimonio ma anche la dimostrazione che non ci sono specchietti per le allodole. Qui, in Puglia, Sinistra e Libertà è al 10% perché con le Fabbriche siamo riusciti a coinvolgere il territorio, i giovani, la società in un percorso reale, sui temi concreti. Ogni cosa può crescere, se curata".

E poi, discutere di cosa?

"Cosa è oggi il centrosinistra? Non possiamo connotarlo con le parole di Montale: codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Serve un passo avanti, annunciare il cambiamento non basta: va praticato".

C’è un’occasione all’orizzonte: la crisi di Berlusconi.

"Ma senza progetto assisteremo alla sua consunzione senza giovarne. Il centrosinistra si attendeva una riscossa solo perché percepiva il disfacimento del Pdl: non è accaduto, anzi, i guai di Berlusconi sono stati ammortizzati dalla Lega".

Come si ritrovano gli elettori?

"Con nuovi percorsi: i vecchi partiti non riescono più a seguire la società. Parlano fra loro, cercano i moderati, tessono alleanze. Ma non sentono i cittadini. Manca il vocabolario dell’alternativa. Costruiamo questo racconto, cominciamo da due belle parole: lavoro e libertà".

31 marzo 2010

 

 

 

Piemonte, effetto Cota: bloccherò la RU486

Il cammino perchè le donne italiane possano abortire con la pillola Ru486, in ospedale o in day hospital, potrebbe essere più lungo del previsto. Un segnale forte della nuova aria che tira nelle regioni arriva dal neo presidente del Piemonte, Roberto Cota, che ha già fatto che le confezioni arrivate nella sua regione potrebbero restare nei magazzini, spiegando di pensarla in modo "completamente diverso" dall'ex presidente Mercedes Bresso. "Sono per la difesa della vita - ha detto Cota - e penso che la pillola abortiva debba essere somministrata quanto meno in regime di ricovero". E sulle scatole già arrivate, la conclusione polemica è che per lui "potranno marcire nei magazzini".

Parole giudicate "stupidaggini" da Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana. "In Italia è garantita la libertà terapeutica, un ambito che riguarda solo il medico, il paziente e il loro rapporto. Tutto il resto sono chiacchiere inutili". Tuttavia è reale la possibilità che i presidenti delle regioni possano rallentare l'arrivo della Ru486 negli ospedali. A spiegarlo è il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella: "Tecnicamente i presidenti delle regioni potrebbero rallentare o anche impedire che il farmaco arrivi negli ospedali non facendolo introdurre nel prontuario regionale". La Ru486 "ha completato tutto l'iter legislativo - precisa Roccella - una volta che l'Aifa ha stabilito il prezzo e autorizzato la messa in commercio secondo il prontuario nazionale. A livello regionale invece l'arrivo della pillola pu• essere rallentato o bloccato sotto un profilo tecnico-economico". La Ru486 può "in teoria non essere inserita nel prontuario regionale - conclude il sottosegretario - sulla base di considerazioni circa il prezzo e la rimborsabilità. Se quindi il farmaco non viene inserito nel prontuario regionale, gli ospedali sul piano pratico non potrebbero poi ordinarlo. Tuttavia, in un'eventualità del genere, si aprirebbe poi un problema con l'Aifa, perchè il prontuario nazionale è il suo".

Intanto i medici chiedono chiarezza. I ginecologi degli ospedali lombardi, riunitisi per elaborare un protocollo condiviso sull'impiego del farmaco, chiedono linee guida nazionali più precise per la legge 194 sull'aborto, che specifichino meglio come comportarsi nell'impiego della RU486. Tutti sono intenzionati a rispettare in modo "assoluto le disposizioni che prevedono il ricovero ordinario per tre giorni". Anche se rimane la possibilità che la donna firmi anticipatamente e di sua volontà l'autodimissione: "Rispetto a questo ovviamente non possiamo fare nulla - precisa Mauro Buscaglia, del San Carlo Borromeo di Milano - se non dare alle donne tutte le spiegazioni in fase preventiva per dimostrare l'utilit… del ricovero". Tuttavia, ribadiscono i medici, "la RU486 non sarà negli ospedali da domani, ma da domani le farmacie ospedaliere potranno avviare la procedura per richiederla. Le prime dosi del farmaco potrebbero tranquillamente arrivare dopo Pasqua".

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2010-03-31

 

 

 

 

 

 

 

 

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